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Sostenibilità e comportamenti pro-ambientali: il punto di vista della psicologia ambientale

Aggiornamento: 29 nov 2023



La questione ambientale rappresenta una delle sfide del XXI secolo ed è intesa come lo studio delle problematiche derivanti dall’impatto antropico sugli equilibri ecologici (chimici, fisici e biologici) che possono costituire una minaccia alla biodiversità nella biosfera a seguito dell’inquinamento dell’acqua, del suolo, del sottosuolo e dello sfruttamento di risorse naturali. Tale sfida, raccogliendo un interesse multidisciplinare in vari ambiti scientifici, sta imponendo una costante riflessione nella legislazione nazionale e sovranazionale e nelle politiche globali di sviluppo sostenibile per l’adozione di provvedimenti finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente e al contrasto del cambiamento climatico.


Tali riflessioni hanno trovato radicamento nella dichiarazione di Stoccolma del 1972 (la prima dichiarazione di prospettive comuni per la conservazione dell’“Ambiente Umano”), nel Rapporto Brundtland del 1987 (Our Common Future, pubblicato nella Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo, nel quale per la prima volta è stato introdotto e definito il tema dello Sviluppo Sostenibile), nella conferenza di Rio de Janeiro del 1992 (un fondamentale momento di svolta nel quale vengono sancite le linee guida per l’azione di oltre 172 stati membri), nella firma del Protocollo di Kyoto nel 1997 (uno dei più importanti strumenti giuridici internazionali volti a combattere i cambiamenti climatici), e i successivi Summit globali, quali il World Summit on Sustainable Development del 2002, il Summit di Copenaghen del 2009, il Vertice della Terra Rio+20 del 2012, la COP 21 e i relativi Accordi di Parigi del 2015 e la successiva COP 26 di Glasgow del 2021.


Ad oggi tali accordi, pur non avendo raggiunto a parere di molti esperti risultati soddisfacenti, hanno contribuito a una presa di coscienza del problema e a determinare la consapevolezza che il passaggio da un modello economico basato sullo sfruttamento e sullo spreco delle risorse ad un modello di sviluppo sostenibile che riduca l’impatto ambientale delle attività umane è non solo un dovere morale, ma una necessità vitale (Castellani, 2015).

Da un punto di vista delle scienze economiche e della scienza del comportamento, l’ambiente viene pensato come il risultato di un sistema di architetture delle scelte globale (di incentivi e feedback), in cui le decisioni vengono prese da attori di ogni tipo, dai consumatori alle grandi aziende (Thaler e Sunstein, 2008).


L’interesse della Psicologia Ambientale per tali tematiche coincide con il secondo periodo di ascesa della disciplina, quando a partire dagli anni ’60 cominciò a manifestarsi una prima presa di coscienza dei problemi ambientali, dando luogo ai primi studi da parte di De Groot (1967), Lindvall (1970), Appleyard e Craik (1974), Craik e Zube (1976) sulla spiegazione delle influenze negative dell'attività umana sull'ambiente biofisico e sulla salute umana, con particolare riferimento agli impatti derivanti dal rumore urbano e dall’inquinamento atmosferico sulla qualità ambientale (Steg et al., 2008).


A partire dagli anni ’70 e dai successivi anni ’80 gli studi si sono ampliati alle problematiche dell’accesso all’energia e alle percezioni e valutazioni del rischio associato allo sviluppo di nuove tecnologie (Steg et al., 2008), fino alla graduale evoluzione della Psicologia Ambientale in Psicologia della Sostenibilità, come suggerito da Gifford nel 2007, a seguito della presa di coscienza degli effetti dell'inquinamento, della deforestazione e dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi.


Nel corso del XXI secolo si sono consolidate evidenze in ragione delle quali è generalmente riconosciuto come il comportamento umano sia uno dei principali fattori causali di tali problematiche ambientali e di come il cambiamento climatico sia in larga misura antropogenico (National Research Council, 2010; Swim et al., 2011).

Una delle preoccupazioni costanti e crescenti della Psicologia Ambientale (e della Psicologia della Sostenibilità) è divenuta quella di individuare modelli teorici e strumenti per cambiare il comportamento delle persone al fine di risolvere i problemi ambientali, preservando al contempo il benessere umano e la qualità della vita (Steg et al., 2008).


In tale contesto, i comportamenti organizzativi e individuali all’interno delle aziende rappresentano un fattore cruciale rispetto alle tematiche ambientali e di sostenibilità, soprattutto alla luce dei sopra citati impulsi normativi nazionali e sovranazionali e delle sempre più diffuse aspettative sociali verso le grandi imprese di una loro proattiva presa di coscienza di precise responsabilità sociali e ambientali associate alla loro crescita.

Le organizzazioni aziendali e industriali sono viste come le principali responsabili dell’immissione nell’ambiente di gas ad effetto serra e, quindi, del cambiamento climatico (Trudeau & Canada West Foundation, 2007).

Le aziende sono pertanto oggi incoraggiate ad individuare strategie e azioni green-oriented in una prospettiva di industria intelligente a favore della sostenibilità ambientale e da tempo hanno iniziato ad adottare formali o informali sistemi di gestione ambientale integrati ai loro processi aziendali (Darnall, Henriques, Sadorsky, 2008).


Partendo dai costrutti relativi alla rappresentazione cognitiva degli individui del rapporto persona-natura (Zweers, 2000) variabili da una visione antropocentrica (al di sopra della natura) ad una visione ecocentrica (subordinata alla natura), le aziende sono chiamate a trovare un equilibrio gestionale rispetto a quattro approcci organizzativi nella conduzione di una impresa (antropocentrico di tipo “padrone”, biocentrico, eco-centrico, conservazionista) nel quale l’“impresa responsabile” è chiamata a contribuire concretamente alla conservazione dell’energia e all’adozione di progetti che favoriscano la riduzione dell’impatto ambientale dei suoi prodotti e servizi (Castellani, 2015).


In tale prospettiva, il capitale umano (inteso come l’insieme di figure sia manageriali che operative operanti all’interno di una organizzazione industriale) detiene un ruolo cruciale nella promozione di una cultura organizzativa pro-ambientale e pro-sostenibilità attuata nel contesto lavorativo tramite comportamenti attinenti alle caratteristiche intrinseche della propria mansione, alla conseguente presa di decisione nel corso delle proprie attività e al controllo del rischio ambientale associato all’organizzazione stessa e al rapporto con il territorio nel quale essa è insediata.


I comportamenti pro-ambientali hanno pertanto un rapporto diretto tra le attività umane e l’impatto sull’ambiente che da esse ne deriva e hanno un’implicazione diretta e tangibile su alcune delle più importanti sfide che l’umanità è chiamata ad affrontare nel corso del XXI secolo, non solo per garantire un suo sviluppo equilibrato, ma in particolar modo per consentire la sua stessa sopravvivenza.


Gli studi sui comportamenti pro-ambientali hanno esplorato ambiti legati alla sfera privata, sociale ed educativa (Stern, 1999, 2000 e Clayton & Myers, 2010) e solo recentemente le ricerche hanno indagato anche sull’attuazione di comportamenti pro-ambientali in ambito lavorativo (Paillé & Boiral, 2013; Ones & Dilchert, 2012b). L’importanza di questi ultimi risiede nel fatto che le aziende sono oggi incoraggiate ad individuare strategie e soluzioni green-oriented in una prospettiva industriale a favore della sostenibilità ambientale.

Occorre pertanto distinguere tra comportamenti pro-ambientali ascrivibili alla condotta pubblica e privata dei cittadini, rispetto ai comportamenti pro-ambientali applicati nei contesti lavorativi, fino a spingersi anche a comportamenti intrinsecamente legati alle proprie mansioni lavorative.


Nei paragrafi successivi si approfondiranno tali aspetti, partendo dai comportamenti pro-ambientali in generale, i relativi modelli teorici, la percezione del rischio ambientale, sino ad inquadrare tali comportamenti in ambito lavorativo e industriale.

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