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ESRS ed ESG: come integrarli in modo efficace nella strategia, nella cultura e nella governance

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    Ar19
  • 1 giorno fa
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L’introduzione degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) ha ridefinito cosa significa oggi fare sostenibilità in azienda. Gli standard non chiedono solo report più completi. Impongono un cambio culturale: decisioni guidate dai dati, leadership sostenibile, competenze ESG diffuse, processi allineati ai rischi e alle opportunità ambientali, sociali e di governance. 



Cosa sono gli ESRS?


Gli ESRS sono gli standard europei che definiscono in modo uniforme come le aziende devono rendicontare la sostenibilità. Rappresentano il quadro normativo introdotto dalla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) per assicurare che le imprese europee comunichino dati comparabili, verificabili e utili alle decisioni degli stakeholder. Gli ESRS stabiliscono cosa riportare, come misurarlo e con quali criteri valutare gli impatti ambientali, sociali e di governance. Per questo motivo non si limitano alla comunicazione finale. Richiedono un sistema interno strutturato, capace di collegare strategia, governance, rischi, obiettivi e performance.


Gli ESRS coprono tutte le dimensioni dell’ESG e introducono una logica chiave: la doppia materialità. Le aziende devono valutare non solo l’impatto dell’organizzazione sull’ambiente e sulle persone, ma anche l’effetto dei cambiamenti ambientali e sociali sul business. Questo approccio rende la sostenibilità parte integrante dei processi decisionali. Non è più un tema esterno al core business. Diventa un elemento che incide sulla competitività, sulla gestione del rischio e sulla capacità di attrarre investimenti.


La struttura degli ESRS è ampia e modulare. Include standard generali, validi per ogni azienda, e standard tematici specifici su clima, inquinamento, risorse idriche, biodiversità, uso circolare delle risorse, personale, lavoratori nella catena del valore, comunità, consumatori e governance. Ogni informativa richiede metriche precise, criteri di misurazione documentati, piani di transizione e obiettivi di medio-lungo periodo. Questo livello di dettaglio cambia la prospettiva aziendale: la rendicontazione non può essere costruita a valle. Va progettata a monte, con processi e responsabilità chiari.


L’introduzione degli ESRS è anche un acceleratore culturale. Perché una rendicontazione di qualità nasce da comportamenti coerenti, processi maturi e leadership consapevole. Nei percorsi dedicati alla sostenibilità presenti nel catalogo formazione AR19 emerge lo stesso principio: conoscere gli standard è fondamentale, ma non basta. Serve una cultura organizzativa capace di integrare persone, processi e obiettivi in un sistema coerente e misurabile. Gli ESRS rendono questa coerenza non solo auspicabile, ma necessaria. E chiedono alle aziende di sviluppare competenze, strumenti e capacità di lettura dei rischi che fino a pochi anni fa erano considerate accessorie.


Per questo motivo gli ESRS segnano uno spartiacque. Le imprese non possono più limitarsi a dichiarare l’impegno verso la sostenibilità. Devono dimostrarlo con dati, governance, metriche e risultati. E devono farlo in modo trasparente, confrontabile e verificabile. In questo nuovo scenario, la sostenibilità passa da narrativa a sistema gestionale. Ed entra stabilmente nella strategia, nelle responsabilità del management e nella cultura aziendale.



In cosa gli ESRS sono diversi dagli ESG?


Gli ESRS sono diversi dagli ESG perché trasformano criteri interpretativi in standard normativi. Mentre gli ESG indicano quali aspetti ambientali, sociali e di governance osservare per valutare la sostenibilità di un’azienda, gli ESRS definiscono come misurare quegli aspetti, come rendicontarli e con quali metriche dimostrare risultati e impatti. Gli ESG funzionano come una bussola per orientare analisi e investimenti. Gli ESRS funzionano come un manuale operativo, con istruzioni precise che ogni azienda deve rispettare per allinearsi alla normativa europea.


La differenza principale riguarda la natura obbligatoria degli ESRS. I criteri ESG, per anni, sono stati interpretati in modo eterogeneo da investitori, agenzie di rating e imprese. Questo ha creato confusione, divergenze tra valutazioni e margini molto ampi nella scelta delle informazioni da comunicare. Con gli ESRS, la rendicontazione non è più libera né soggettiva. Diventa strutturata, standardizzata e verificabile. Le aziende devono dimostrare con dati accurati come gestiscono i rischi ESG, quali obiettivi perseguono e quali risultati ottengono nel tempo.


Gli ESRS introducono anche un livello di profondità superiore rispetto ai tradizionali criteri ESG. Ogni informativa deve essere collegata alla strategia, alla governance, ai processi decisionali e alla gestione del rischio. Non basta dichiarare impegni. Bisogna mostrare come l’azienda integra la sostenibilità nelle attività quotidiane, quali risorse utilizza, quali impatti genera e come governa i temi materiali. Questo approccio richiede sistemi di raccolta dati più avanzati, responsabilità interne assegnate con chiarezza e competenze specifiche nella lettura degli impatti e nella costruzione dei piani di transizione.


Un’altra differenza sostanziale riguarda la doppia materialità. Gli ESG considerano soprattutto la prospettiva finanziaria: come i fattori ambientali, sociali e di governance influenzano la performance economica dell’impresa. Gli ESRS aggiungono una seconda dimensione: come l’azienda incide sull’ambiente e sulle persone. Questa visione amplia la responsabilità delle organizzazioni, perché costringe a valutare impatti diretti e indiretti, lungo l’intera catena del valore. La sostenibilità non viene più letta solo come un rischio da gestire, ma come un dovere informativo verso tutti gli stakeholder.


Gli ESRS si differenziano dagli ESG anche nella richiesta di definire obiettivi chiari, misurabili e temporizzati. Le imprese devono indicare come intendono ridurre gli impatti, migliorare le performance e raggiungere risultati concreti. Devono inoltre spiegare come monitorano i progressi, quali risorse investono e quali competenze attivano. In questo senso, gli ESRS portano la sostenibilità a un livello manageriale più elevato. Non la collocano in un reparto isolato, ma la trasformano in una leva strategica che coinvolge funzioni diverse, dalla direzione ai team operativi.


Infine, gli ESRS elevano il ruolo della governance. Le aziende devono dimostrare che il consiglio di amministrazione e il top management guidano attivamente la strategia di sostenibilità, comprendono i rischi materiali e assumono decisioni coerenti. Questo passaggio rende la sostenibilità parte integrante della responsabilità aziendale. Non è più un obiettivo accessorio o reputazionale. Diventa un impegno strutturale, misurato e rendicontato con la stessa attenzione riservata alle performance economiche.


Gli ESG continueranno a essere un riferimento nelle analisi di mercato e negli investimenti. Ma il loro significato cambia. Diventano un linguaggio interpretativo che deve poggiare su dati solidi e processi robusti. Gli ESRS forniscono proprio quel fondamento. E permettono al mercato, agli stakeholder e alle stesse imprese di avere una visione molto più chiara della qualità della gestione e della capacità futura di generare valore.



A chi si applicano gli ESRS?


Gli ESRS si applicano alle imprese obbligate alla rendicontazione di sostenibilità secondo la CSRD, quindi a tutte le aziende che devono redigere un bilancio di sostenibilità conforme agli standard europei. L’obbligo riguarda oggi le grandi imprese, gli enti di interesse pubblico e, progressivamente, le piccole e medie imprese quotate. Questo allargamento implica che sempre più realtà debbano adottare un sistema strutturato di raccolta dati, valutazione degli impatti e governance della sostenibilità.


Nel dettaglio, gli ESRS si applicano alle grandi imprese che superano due dei tre criteri: più di 250 dipendenti, 40 milioni di euro di fatturato, 20 milioni di totale attivo. Per queste realtà, la CSRD richiede un’informativa ampia, verificata e integrata nella relazione di gestione. L’applicazione degli ESRS non è opzionale. Rientra in un quadro normativo europeo che vuole garantire trasparenza, comparabilità e affidabilità delle informazioni di sostenibilità, elementi sempre più determinanti nelle scelte di investitori, clienti e partner di filiera.


Gli ESRS si applicano anche alle PMI quotate, seppur con una modulazione semplificata. Dal 2026, queste imprese dovranno adottare gli ESRS per PMI e rendicontare aspetti materiali legati a temi ambientali, sociali e di governance. Per molte aziende, ciò rappresenta una novità significativa. La sostenibilità diventa un requisito non solo reputazionale, ma operativo. Anche per questo molte PMI stanno iniziando un percorso di adeguamento anticipato, per costruire competenze interne, sistemi di raccolta dati e procedure coerenti con gli standard richiesti.


L’applicazione degli ESRS non riguarda però solo le aziende legalmente obbligate. La catena del valore introduce una pressione indiretta sempre più forte. Le imprese soggette alla CSRD devono infatti dimostrare come gestiscono impatti, rischi e opportunità che coinvolgono fornitori, partner logistici, appaltatori e reti commerciali. Questo porta molte realtà non obbligate a dover fornire dati di sostenibilità, rispondere a questionari strutturati, adottare policy ESG e dimostrare conformità a criteri ambientali e sociali. Si tratta di una compliance indiretta agli ESRS, ma comunque necessaria per mantenere il posizionamento nei mercati più strutturati.


Un altro ambito rilevante riguarda le multinazionali extra-UE con filiali o sedi europee. Anche queste organizzazioni devono redigere una rendicontazione conforme agli ESRS se superano determinate soglie di fatturato. Questo estende lo standard europeo oltre i confini dell’Unione, trasformandolo in un riferimento internazionale per la governance della sostenibilità. Non sorprende che molti gruppi globali stiano aggiornando le loro strategie ESG per allinearle agli obblighi della Corporate Sustainability Reporting Directive.


L’applicazione degli ESRS introduce quindi uno scenario complesso ma coerente. Le aziende obbligate devono adeguare sistemi, processi, modelli di governance e competenze interne. Le aziende non obbligate devono prepararsi a fornire dati e garantire trasparenza lungo la catena del valore. Tutte le imprese devono riconsiderare come misurano la sostenibilità e come integrano rischi ESG, obiettivi climatici, politiche sociali e governance responsabile nella loro strategia.


In questo contesto, gli ESRS non rappresentano solo un vincolo. Diventano una leva di competitività. Le organizzazioni che si adeguano in anticipo migliorano credibilità, accesso al mercato, reputazione e capacità di attrarre investitori. La rendicontazione ESG conforme agli ESRS sarà sempre più un elemento distintivo. Non solo per chi è obbligato. Ma per chiunque voglia consolidare il proprio ruolo in catene del valore mature e orientate alla sostenibilità.



Cosa cambia concretamente per le aziende con gli ESRS?


Gli ESRS cambiano il modo in cui le aziende comprendono la sostenibilità e la integrano nei processi decisionali. La principale trasformazione riguarda il passaggio da un approccio volontario, spesso descrittivo, a un modello obbligatorio fondato su metriche, responsabilità e risultati misurabili. Le imprese non possono più trattare la sostenibilità come un insieme di iniziative parallelamente al business. Gli ESRS la rendono parte della strategia, dei modelli operativi e della governance. Questo spostamento impone un salto di maturità organizzativa, perché la sostenibilità smette di essere un ambito separato e diventa un criterio che orienta investimenti, gestione del rischio e sviluppo delle competenze.

Il cambiamento più evidente riguarda la qualità dei dati. Le aziende devono dimostrare come gestiscono temi ambientali, sociali e di governance attraverso informazioni verificabili e aggiornate. Non basta più raccogliere indicatori a fine anno. Gli ESRS richiedono processi continui, strutturati, che coinvolgono funzioni diverse e riportano la sostenibilità al cuore delle attività operative. La precisione dei dati non è un requisito tecnico. È il fondamento su cui si costruisce la credibilità della rendicontazione e la capacità dell’impresa di dialogare con il mercato in modo trasparente.


Un cambiamento altrettanto significativo riguarda la relazione tra sostenibilità e rischio. Con gli ESRS, la valutazione dei rischi ESG entra nella pianificazione strategica. Le aziende devono spiegare come i cambiamenti climatici, le dinamiche sociali, le condizioni della catena del valore e i fattori di governance possono influenzare la continuità del business. Devono anche dimostrare come le proprie attività generano impatti sull’ambiente e sulle persone. Questo porta la gestione del rischio verso una visione più ampia e lungimirante, in cui prevenzione, resilienza e capacità di leggere i segnali deboli diventano competenze decisive.


Gli ESRS modificano anche il ruolo della governance. Le decisioni sulla sostenibilità non possono più essere delegate a funzioni periferiche. Devono essere deliberate, comprese e guidate dal consiglio di amministrazione e dal top management. Questa responsabilità diretta obbliga la leadership a conoscere i temi ESG, a comprenderne le implicazioni e a tradurli in obiettivi chiari. Le imprese che non possiedono ancora questa maturità dovranno svilupparla, perché gli standard europei chiedono coerenza tra dichiarazioni, comportamenti e risultati. La sostenibilità non si osserva più soltanto da fuori. Deve essere visibile dentro le scelte quotidiane dell’organizzazione.


Un effetto spesso sottovalutato riguarda la catena del valore. Molte aziende non obbligate dalla CSRD dovranno comunque adeguarsi agli ESRS perché clienti, partner o investitori richiederanno informazioni precise su emissioni, condizioni di lavoro, politiche sociali e processi di approvvigionamento. In questo scenario, la sostenibilità diventa un prerequisito di mercato. Chi non è pronto a rispondere rischia di perdere competitività, indipendentemente dalla dimensione.


Il cambiamento tocca anche le competenze interne. Gli ESRS richiedono profili professionali in grado di interpretare gli standard, leggere gli impatti, valutare i rischi e coordinare processi di reporting complessi. Le funzioni HR diventano centrali perché devono accompagnare l’impresa in un percorso di sviluppo culturale. Servono capacità di leadership sostenibile, sensibilità ai temi sociali, competenze nella gestione integrata dei sistemi e un approccio decisionale orientato ai dati. Questo aspetto è spesso il più impegnativo: non si tratta solo di acquisire nuove competenze tecniche, ma di far evolvere il modo in cui l’organizzazione pensa e agisce.


Infine, gli ESRS cambiano il significato stesso di performance. Le aziende devono mostrare non solo risultati economici, ma anche la qualità con cui gestiscono impatti e rischi. Devono spiegare quali obiettivi si sono date, come intendono raggiungerli e quali progressi stanno compiendo. La sostenibilità diventa una dimensione strategica da monitorare nel tempo, con la stessa attenzione riservata ai risultati finanziari. Questo passaggio allinea l’impresa a un modello più completo di creazione di valore, in cui efficienza, responsabilità e visione di lungo periodo convergono.


In sintesi, gli ESRS non chiedono alle aziende di aggiungere un nuovo documento. Chiedono di adottare un nuovo modo di funzionare. È un cambiamento che riguarda la cultura, la leadership, la gestione del rischio, i processi e la qualità delle decisioni. Le imprese che lo abbracciano con convinzione scoprono una leva potente per rafforzare credibilità, resilienza e competitività. Le altre rischiano di non riuscire a stare al passo con un mercato che va verso standard sempre più alti.



Come si collegano gli ESRS con la Cultura Organizzativa?


Gli ESRS si collegano alla cultura organizzativa perché rendono il comportamento dell’azienda tanto importante quanto i dati che decide di riportare. La conformità agli standard europei non dipende solo dalla correttezza tecnica di una rendicontazione. Dipende dalla capacità dell’organizzazione di agire in modo coerente con i principi della sostenibilità. È qui che la cultura aziendale diventa decisiva: gli ESRS chiedono trasparenza, responsabilità, capacità di leggere i rischi e impegno nella gestione degli impatti. Tutti elementi che non possono essere costruiti in fase di reporting, ma devono essere già presenti nella vita quotidiana dell’impresa.


Quando la cultura non è allineata, la rendicontazione ESG perde credibilità. Le informazioni risultano frammentate, difficili da verificare o non supportate da comportamenti concreti. Gli ESRS cambiano questo equilibrio. Per la prima volta, la sostenibilità non può essere trattata come un insieme di attività parallele, gestite da pochi specialisti. Diventa una competenza trasversale che coinvolge i team, i manager, la governance e la catena del valore. Richiede un linguaggio comune, una visione condivisa e una leadership capace di guidare l’azienda in un contesto dove le aspettative di trasparenza sono sempre più elevate.


Il collegamento tra ESRS e cultura organizzativa si vede soprattutto nella gestione dei rischi. Gli standard europei chiedono alle imprese di spiegare come individuano i rischi ESG, come li valutano e quali decisioni adottano per mitigarli. Non basta avere una procedura. Serve una mentalità orientata alla comprensione delle conseguenze, alla lettura dei segnali deboli e alla capacità di anticipare scenari complessi. Questo tipo di approccio nasce solo in organizzazioni che hanno sviluppato una cultura attenta, responsabile e aperta alla condivisione. Dove il fattore umano non è una variabile da controllare, ma una risorsa per interpretare meglio il contesto.


Gli ESRS mettono in relazione sostenibilità e comportamento perché richiedono di dimostrare non solo cosa fa l’azienda, ma come lo fa. Le imprese devono descrivere i processi decisionali, il ruolo del consiglio di amministrazione nella supervisione ESG, le modalità con cui vengono coinvolti i lavoratori e le iniziative per migliorare la qualità dell’ambiente di lavoro e delle relazioni con gli stakeholder. Questa attenzione alla dimensione umana è un tratto specifico degli standard europei: la sostenibilità non è solo un risultato ambientale o economico, ma una pratica quotidiana che prende forma nelle scelte dei leader e nelle azioni delle persone.


Il collegamento diventa ancora più evidente quando si considera l’impatto della transizione sostenibile sulle competenze interne. Gli ESRS richiedono nuove capacità analitiche, tecniche e manageriali. Ma l’adozione di queste competenze non può avvenire senza un clima organizzativo favorevole. Le aziende devono promuovere un contesto in cui apprendimento, apertura al cambiamento e responsabilità condivisa siano elementi naturali. Una cultura rigida, centrata solo sul rispetto formale delle procedure, difficilmente riuscirà a sostenere il livello di integrazione richiesto dagli standard europei.


In questo senso, gli ESRS funzionano come una lente che rivela la maturità culturale dell’impresa. Le aziende che hanno già lavorato sulla leadership sostenibile, sullo sviluppo delle persone e sulla capacità di leggere i rischi si trovano avvantaggiate. Possono tradurre più facilmente gli standard in pratiche concrete. Le altre devono avviare un percorso di trasformazione che spesso parte proprio dalla cultura: dalla chiarezza dei valori alla coerenza dei comportamenti, dalla qualità della comunicazione interna alla capacità di coinvolgere le persone in un cambiamento complesso.


Gli ESRS non chiedono solo di rendicontare la sostenibilità. Chiedono di dimostrare che la sostenibilità è diventata parte delle fondamenta dell’organizzazione. È qui che la cultura aziendale e la conformità agli standard si incontrano: nella credibilità. Una cultura solida permette di produrre dati affidabili, processi robusti e decisioni coerenti. Una cultura debole porta a rendicontazioni fragili, non controllate e non integrate con il business. Per questo, gli ESRS non sono un capitolo tecnico, ma una leva di trasformazione profonda. Spostano la sostenibilità dal documento alla pratica, dal ruolo specialistico alla responsabilità condivisa, dalla comunicazione alla governance.



Quali competenze diventano essenziali con gli ESRS?


Le competenze richieste dagli ESRS sono diverse da quelle tradizionalmente associate alla rendicontazione di sostenibilità. Gli standard europei non chiedono soltanto capacità tecniche. Chiedono una visione più ampia, che unisca analisi dei dati, comprensione dei rischi, sensibilità organizzativa e una leadership capace di guidare il cambiamento. È questo mix a determinare la capacità reale di un’azienda di adottare gli ESRS in modo efficace e credibile.


La prima competenza riguarda la capacità di leggere la complessità. Gli ESRS introducono un sistema di rendicontazione articolato, che richiede di collegare clima, impatti sociali, governance e performance economica. Per lavorare con questi standard bisogna saper interpretare dati eterogenei, riconoscere le interdipendenze e tradurre le informazioni in decisioni operative. Non si tratta solo di compilare tabelle. Si tratta di comprendere come i fattori ESG influenzano la strategia e quali scelte possono ridurre i rischi o generare nuove opportunità. Questa competenza, che potremmo definire “visione sistemica ESG”, diventa centrale per chiunque partecipi alla rendicontazione secondo la CSRD.


Accanto alla visione sistemica c’è la capacità di valutare i rischi con un approccio più maturo. Gli ESRS introducono la doppia materialità e richiedono di capire non solo come l’ambiente influenza l’azienda, ma come l’azienda influenza l’ambiente e le persone. Questa responsabilità chiede competenze specifiche nella gestione del rischio ESG, nella lettura dei segnali deboli e nella capacità di anticipare scenari futuri. Le imprese che non possiedono questa sensibilità devono svilupparla, perché è la base del nuovo modo europeo di interpretare la sostenibilità. Senza una reale comprensione del rischio, ogni report perde significato e ogni impegno resta superficiale.


Un’altra competenza fondamentale riguarda la governance. Gli ESRS richiedono un coinvolgimento diretto degli organi di governo e una capacità di assumere decisioni trasparenti, coerenti e verificabili. Questo implica una leadership in grado di collegare la sostenibilità alla performance, di comunicare obiettivi chiari e di garantire responsabilità distribuite. Non basta conoscere gli standard. Serve la maturità per gestire la sostenibilità come un elemento strategico, per guidare team interdisciplinari e per tradurre obiettivi complessi in azioni concrete.


La trasformazione richiesta dagli ESRS riguarda anche la qualità della comunicazione interna. È difficile immaginare un reporting accurato se le funzioni non dialogano, se i dati circolano in modo frammentato, se le persone non comprendono il senso delle attività che svolgono. Per questo le competenze comunicative, l’ascolto attivo e la capacità di rendere comprensibile la complessità diventano competenze critiche nella gestione dei progetti ESG. La sostenibilità non si afferma con direttive calate dall’alto. Si afferma con una cultura che facilita la partecipazione e la condivisione.


Le competenze tecniche restano indispensabili, ma assumono un carattere nuovo. Gli esperti devono conoscere gli ESRS, saper leggere gli standard settoriali, comprendere i criteri di verifica e tradurre le metriche in processi operativi. Devono saper lavorare con indicatori ambientali, con dati sociali, con policy di governance e con metodologie di audit. Serve anche familiarità con strumenti digitali, sistemi di misurazione e piattaforme di reporting. La sostenibilità entra a tutti gli effetti nel territorio della misurazione e del controllo, e chi la gestisce deve avere rigorosità tecnica e lucidità analitica.


C’è poi una competenza che spesso viene sottovalutata, ma che gli ESRS rendono imprescindibile: la gestione del cambiamento. Adeguarsi agli standard europei non significa aggiungere un documento, significa modificare abitudini, responsabilità e processi. Chi guida questo processo deve saper accompagnare le persone, spiegare i motivi del cambiamento, costruire consenso interno e affrontare le resistenze. La transizione verso un sistema di reporting conforme alla CSRD è un percorso evolutivo. Richiede costanza, sensibilità e una leadership che sappia sostenere il ritmo del cambiamento senza generare sovraccarico.


Infine, la competenza più trasversale di tutte: la capacità di assumere un comportamento coerente. Gli ESRS non possono essere adottati solo tecnicamente. Necessitano di persone che agiscono in modo allineato ai valori di trasparenza, responsabilità e integrità richiesti dagli standard. È questo l’elemento che differenzia le aziende che si limitano a essere conformi dalle aziende che costruiscono vera credibilità ESG. La sostenibilità non nasce nel report. Nasce nelle scelte e nei comportamenti quotidiani.



Come cambia la gestione del rischio con gli ESRS?


La gestione del rischio cambia perché con gli ESRS l’azienda non può più limitarsi a identificare ciò che potrebbe accadere. Deve spiegare come legge il proprio contesto e come trasforma quella lettura in scelte quotidiane. I rischi ESG non vengono più trattati come un allegato tecnico al sistema di governance, ma entrano stabilmente nella strategia, nei processi decisionali e nel modo in cui l’impresa interpreta il proprio ruolo nella società. La sostenibilità diventa una lente che costringe a guardare ciò che accade attorno e dentro l’organizzazione con maggiore profondità.


Questo cambiamento si vede subito nella prospettiva temporale. Le decisioni non possono più limitarsi a proteggere il presente. Gli ESRS chiedono di immaginare scenari futuri, valutare come clima, normative e dinamiche sociali potrebbero modificare il business e comprendere quali condizioni potrebbero renderlo più vulnerabile. La gestione del rischio assume quindi un carattere anticipatorio. Non si reagisce a un problema: si costruisce la capacità di coglierne i segnali in anticipo. È una transizione culturale che richiede attenzione, ascolto e disponibilità a mettere in discussione abitudini consolidate.


Ciò che cambia davvero è la natura dello sguardo. Se in passato il rischio veniva spesso identificato nelle variabili esterne, gli ESRS portano l’azienda a riconoscere che molti dei rischi più significativi nascono da dentro: dalla qualità dei comportamenti, dalla consapevolezza delle persone, dal modo in cui vengono prese le decisioni. Il fattore umano diventa quindi centrale. I rischi ambientali, sociali e di governance non dipendono solo da procedure inadeguate o infrastrutture insufficienti, ma anche dalla capacità delle persone di percepire situazioni critiche, di comunicare con chiarezza e di agire con coerenza rispetto ai valori dichiarati.


Gli standard europei richiedono inoltre una lettura molto più rigorosa dei dati. La valutazione del rischio non può basarsi su impressioni o valutazioni generiche. La CSRD impone metriche, indicatori, metodologie di analisi e una tracciabilità delle informazioni che consenta di dimostrare come una decisione sia stata costruita. Questo non rende il processo più rigido. Lo rende più consapevole. La qualità del dato diventa la base per interpretare il contesto, per misurare la distanza dagli obiettivi, per capire quali scelte generano benefici e quali aprono vulnerabilità.


In questo scenario, la leadership assume un ruolo determinante. Gli ESRS chiedono che il board e il top management comprendano i rischi ESG, li discutano, li valutino e li integrino nella strategia. Questo richiede una maturità diversa: capacità di contestualizzare, di assumersi responsabilità, di riconoscere che un rischio non è una minaccia isolata, ma il riflesso di come l’organizzazione opera e di come si posiziona all’interno del proprio ecosistema. La leadership deve creare un clima in cui le persone si sentono libere di segnalare criticità, di condividere dubbi e di proporre miglioramenti. Senza questa apertura, nessun sistema di gestione del rischio può funzionare davvero.


Anche la relazione con la catena del valore cambia. Gli ESRS chiedono alle aziende di considerare i rischi generati e subiti non solo all’interno dei propri confini, ma anche lungo la filiera. Questo richiede collaborazione, trasparenza e una capacità di dialogo con i fornitori che va oltre la semplice verifica documentale. I rischi ESG non seguono confini organizzativi. Si manifestano nei comportamenti collettivi, nelle scelte operative e nel modo in cui ogni attore gestisce le proprie responsabilità.


Alla fine, ciò che gli ESRS introducono è un modo più maturo, più ampio e più umano di intendere il rischio. Non è più un esercizio tecnico, ma una competenza culturale. Una capacità dell’organizzazione di osservare se stessa, di imparare dall’esperienza, di riconoscere la complessità e di agire in modo coerente. La gestione del rischio diventa una conversazione continua tra persone, processi, visione strategica e realtà esterna. È qui che gli ESRS mostrano il loro valore: nel trasformare il rischio da elemento da temere a strumento per costruire futuro.



Quali processi aziendali devono cambiare per essere conformi agli ESRS?


Gli standard europei richiedono che la sostenibilità sia visibile dentro le scelte operative, nelle modalità con cui si prendono le decisioni, nella gestione del rischio e nel rapporto con la catena del valore. Questo porta naturalmente a una trasformazione dei processi, che non riguarda solo l’area ESG o il team che si occupa di reporting, ma attraversa l’intera organizzazione.


Il primo cambiamento emerge nella pianificazione strategica. Le imprese devono dimostrare che gli obiettivi di sostenibilità non sono dichiarazioni astratte, ma orientano concretamente lo sviluppo del business. Quando gli ESRS chiedono di spiegare come un’azienda intende raggiungere i propri target climatici, o come gestisce gli impatti sociali lungo la filiera, stanno chiedendo in realtà di rendere trasparenti i meccanismi interni che guidano investimenti, priorità e tempi. La strategia diventa quindi il luogo in cui si misura la maturità ESG dell’impresa: non un documento separato, ma una cornice che integra sostenibilità e competitività.


Anche i processi operativi subiscono un’evoluzione. Gli ESRS introducono un livello di profondità che obbliga a osservare ciò che avviene quotidianamente nei reparti produttivi, nei servizi, nella catena logistica, nei rapporti con i partner. La sostenibilità non si limita ai grandi obiettivi: si riflette nella gestione delle risorse, nella qualità delle procedure, nella coerenza dei comportamenti. Un’azienda non può dichiarare una politica ambientale avanzata se le decisioni operative non la rispettano. Non può affermare di proteggere il benessere dei lavoratori se la cultura interna non sostiene questa visione. È il funzionamento reale dei processi a determinare la credibilità del report.


Anche la gestione dei dati cambia profondamente. La rendicontazione ESG non può più essere costruita a posteriori. Richiede sistemi che raccolgono informazioni in modo continuo, tracciabile e verificabile. Questo implica una revisione dei processi amministrativi, dei flussi informativi, delle responsabilità interne. Non è un semplice aggiornamento tecnologico. È un modo diverso di pensare la conoscenza aziendale: i dati diventano strumenti di governo, non accessori statistici. La qualità del dato riflette la maturità del processo da cui proviene.


La governance, a sua volta, deve evolvere. Gli ESRS chiedono di descrivere in modo chiaro come vengono prese le decisioni, chi è responsabile degli obiettivi ESG, quali competenze sono presenti nel board e come i rischi sono discussi e valutati. Questo porta molte imprese a riscrivere ruoli, definire responsabilità, introdurre momenti decisionali dedicati alla sostenibilità. Non è un adempimento formale. Quando la governance cambia, si modifica la direzione dell’organizzazione e la cultura che la sostiene. Le persone percepiscono che la sostenibilità non è una parola, ma un criterio che orienta la leadership.


Anche il rapporto con la catena del valore richiede un nuovo approccio. Gli ESRS estendono l’attenzione oltre i confini dell’impresa. Chiedono di comprendere come le attività dei fornitori influenzano gli impatti dell’azienda e, allo stesso tempo, come l’azienda contribuisce alle condizioni della filiera. Questo porta a ripensare i processi di selezione, valutazione e collaborazione. La sostenibilità diventa un terreno di dialogo, non di mero controllo. È un cambio di mentalità: la filiera non è solo un insieme di contratti, ma una comunità operativa che condivide responsabilità e opportunità.


Infine, il cambiamento tocca la comunicazione interna. Gli ESRS non possono essere compresi se le persone non vengono coinvolte. I processi di comunicazione devono diventare più trasparenti, frequenti e orientati alla comprensione. Le aziende che trattano la sostenibilità come un linguaggio tecnico rischiano di perdere l’adesione dei team. Quelle che la traducono in significato, in scelte concrete e in comportamenti quotidiani, invece, riescono a radicare il cambiamento. La comunicazione diventa quindi parte della trasformazione dei processi, non un momento esterno a essi.


In sostanza, gli ESRS non chiedono alle aziende di aggiungere nuovi processi. Chiedono di trasformare quelli esistenti affinché riflettano la sostenibilità come criterio di qualità, responsabilità e visione. La conformità nasce quando l’organizzazione riesce a rendere coerenti le proprie azioni con ciò che dichiara. È questa coerenza che costruisce credibilità, stabilità e valore nel tempo.



Come si costruisce un sistema di reporting conforme agli ESRS?


Un sistema di reporting conforme agli ESRS si costruisce seguendo la struttura ufficiale degli standard europei, che definiscono quali informazioni devono essere raccolte, come devono essere presentate e quali dati quantitativi e qualitativi devono essere inclusi nella rendicontazione. Gli ESRS non lasciano spazio a interpretazioni libere: forniscono un quadro preciso, articolato in disclosure requirements che guidano l’azienda nella descrizione di politiche, azioni, obiettivi e risultati misurabili. Tutto parte da qui, perché senza un riferimento solido la rendicontazione rischia di diventare frammentata.


La costruzione del sistema inizia dalla comprensione degli standard trasversali, l’ESRS 1 e l’ESRS 2, che definiscono concetti come materialità, confini del reporting, principi di presentazione, ruoli della governance e tipologia di informazioni minime da rendicontare. Sono gli standard che stabiliscono il linguaggio comune e permettono alle aziende di strutturare un processo coerente. È da qui che si definisce quali temi ambientali, sociali o di governance sono rilevanti e quali dati dovranno essere monitorati durante l’anno.

Il sistema prende forma quando questa cornice viene collegata agli standard tematici, dedicati al clima, all’inquinamento, all’acqua, alla biodiversità, alle risorse, ai lavoratori, ai diritti umani, ai consumatori e alla governance. Per ogni tema, gli ESRS indicano le informazioni che l’azienda deve fornire: le politiche adottate, le iniziative intraprese, gli obiettivi fissati e soprattutto le metriche che dimostrano la reale performance. È questo che distingue il reporting europeo: la narrazione è ammessa, ma solo se sostenuta da dati e risultati verificabili.


Un sistema conforme agli ESRS richiede quindi la capacità di raccogliere dati in modo sistematico. Non è possibile produrre un bilancio di sostenibilità credibile se la raccolta avviene solo alla fine dell’esercizio. La misurazione deve essere continua, integrata nella vita operativa, supportata da funzioni diverse e strutturata attraverso procedure che garantiscono tracciabilità e coerenza. La qualità del dato diventa un indicatore della qualità dei processi: se il dato non è solido, la rendicontazione non può esserlo.

La governance svolge un ruolo decisivo in questo sistema. Gli ESRS chiedono di rendicontare non solo cosa l’azienda dichiara di voler fare, ma come il consiglio di amministrazione e il management supervisionano gli obiettivi ESG, monitorano i rischi, approvano le strategie e verificano la qualità delle informazioni pubblicate. Questo porta il reporting a non essere più un esercizio preparato da un solo ufficio, ma un lavoro corale che riflette la maturità decisionale dell’organizzazione.


Accanto alla governance, la materialità dà forma al contenuto. Senza una valutazione seria degli impatti e dei rischi, il reporting risulta scollegato dalla realtà. Gli ESRS richiedono che l’azienda spieghi quali temi sono davvero significativi, perché lo sono, e quali effetti producono sul business e sugli stakeholder. È questa lettura che permette di selezionare i dati giusti, evitare dispersioni e costruire una narrazione fedele.


Infine, un sistema conforme agli ESRS funziona solo quando l’organizzazione sviluppa una capacità narrativa che unisce rigore tecnico e visione strategica. Il report non è un insieme di tabelle. È il racconto di come l’azienda interpreta la sostenibilità, di quali risultati raggiunge e di quali sfide la attendono. La credibilità nasce dall’equilibrio tra chiarezza, trasparenza e continuità. Un sistema costruito bene permette all’impresa di parlare con autorevolezza, perché ogni informazione trova riscontro nei processi e nelle azioni reali.

In questo senso, costruire un reporting conforme agli ESRS significa costruire un sistema di pensiero e di lavoro che accompagna l’azienda tutto l’anno. È un modo diverso di guardare a ciò che si fa, di misurarlo e di comunicarlo. Quando questo sistema si stabilizza, la rendicontazione non è più un obbligo: diventa il riflesso maturo dell’identità dell’organizzazione.



Conclusione


La transizione agli ESRS rappresenta per le aziende un’occasione per ripensare il proprio modo di creare valore, perché la sostenibilità smette di essere un capitolo separato e diventa un criterio che attraversa strategia, cultura e processi decisionali. Gli standard europei mostrano con chiarezza che il futuro della competitività non si misura solo nei risultati economici, ma nella capacità di governare gli impatti, prevenire i rischi e costruire un’identità aziendale credibile e coerente. È un cambiamento che non si affronta aggiornando un documento, ma trasformando il modo in cui l’organizzazione osserva se stessa e il contesto in cui opera.


Questo nuovo modo di interpretare la sostenibilità richiede continuità, responsabilità e integrazione. Le imprese che accolgono gli ESRS come un esercizio tecnico spesso faticano a collegare dati, azioni e visione. Quelle che li riconoscono come un percorso culturale scoprono invece che il reporting diventa uno strumento di consapevolezza, capace di mettere in luce ciò che funziona, ciò che va ripensato e ciò che può evolvere. La qualità dell’informazione riflette la qualità dei processi; la maturità della rendicontazione riflette la maturità della leadership.


La vera trasformazione nasce quando l’azienda comprende che gli ESRS non sono un vincolo, ma un linguaggio che permette di raccontare con precisione ciò che fa e ciò che aspira a diventare. In questo linguaggio trovano posto la visione di lungo periodo, la gestione del rischio, il valore delle persone, la relazione con il territorio, la solidità delle scelte operative. È un racconto che richiede rigore, ma che restituisce alle imprese una forma nuova di autorevolezza: la capacità di dimostrare il proprio impegno con trasparenza.

In definitiva, gli ESRS sono un invito a evolvere. Spingono le aziende a costruire sistemi più affidabili, a rafforzare la governance, a sviluppare competenze nuove e a trasformare la sostenibilità da dichiarazione a pratica quotidiana. Le imprese che sapranno cogliere questo invito non solo rispetteranno una normativa, ma acquisiranno un vantaggio competitivo fatto di fiducia, resilienza e riconoscibilità. Perché nel momento in cui la sostenibilità diventa parte dell’identità, l’organizzazione non risponde più a un obbligo: risponde al proprio futuro.

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Alberto Rosso

CEO/Director AR19





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